Berti (UIL): “Datori di lavoro in Croazia neutri, in Italia assoluta convergenza datori-sindacati verso contrattazione”
“Emerge una disponibilità delle parti datoriali della Croazia ad attendere di capire in modo non pregiudiziale come il governo croato costruirà quel quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, previsto dalla direttiva. Questo è di per sé un fatto significativo, per un paese che già adotta da anni un salario minimo legale. C’è paradossalmente più il timore che l’adeguamento annuale del salario minimo legale possa rappresentare una scusa per le piccole imprese a ricorrere al nero”. Sono i primi risultati evidenziati da Michele Berti, responsabile per il lavoro frontaliero della UIL del Friuli Venezia Giulia e Presidente del Consiglio Sindacale Interregionale Italo-Croato Alto Adriatico (CSIR) durante il seminario sulla Direttiva sul salario minimo dell’Unione europea conclusosi ieri a Parenzo.
A prendere parte all’evento, oltre i rappresentanti dei sindacati aderenti allo CSIR (CGIL, CISL e UIL del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, e SSSH dell’Istria e della contea Litoraneo-montana) anche le organizzazioni datoriali italiane e croate, Confindustria, Confcommercio e HUP (Hrvatska udruga poslodavaca).
“Proprio dopo gli interventi di Confindustria e Confcommercio – rileva Berti – emerge sul versante italiano una convergenza assoluta delle parti datoriali e sindacali verso la contrattazione collettiva, lasciando veramente sullo sfondo l’aspetto del salario minimo legale, che evidentemente nel nostro Paese nessuna delle parti sociali ricerca con particolare convinzione, e che si sposa con le posizioni che anche la politica italiana sembra voler prendere. Quindi pare proprio che questo aspetto non farà parte della legislazione italiana, la quale continuerà a riconoscere il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva. E visto che c’è questo allineamento dei pianeti in Italia – provoca il presidente CSIR – è assolutamente legittimo aspettarsi che le condizioni dei lavoratori italiani vengano a migliorare, altrimenti questa convergenza dichiarata non si spiega”.
Per quanto riguarda la genesi della nuova norma europea, continua Berti, “come ci ha spiegato ieri la CES (Confederazione Europea dei Sindacati) nel suo intervento, l’intervento sindacale europeo è riuscito a portare dentro la direttiva, che nasceva per trattare con un’impostazione molto restrittiva solo il ‘salario minimo legale’, anche la valorizzazione della contrattazione collettiva. Quindi è un evento storico che un atto legislativo dell’Unione europea citi così esplicitamente la contrattazione collettiva come elemento finalizzato a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Questo per il mondo sindacale è veramente un successo, e per l’Italia in particolare perché è una conferma di ciò in cui come parti sociali abbiamo sempre creduto”, spiega.
Sono molto diverse le situazioni del lavoro sulle due sponde dell’Adriatico, osserva Berti raccogliendo l’esposizione del collega Darko Seperic SSSH: “In Croazia è dominante l’interesse verso la contrattazione a livello aziendale, mentre in Italia abbiamo una tradizione che ci porta a contrattare a livello nazionale, e in seconda battuta, anche se non meno importante, a livello aziendale o territoriale. In un paese che già ha un salario minimo per legge e dove la contrattazione collettiva nazionale ‘soffre’, come la Croazia, il fatto di non aver espresso una posizione pregiudiziale sulla contrattazione nazionale da parte della associazione dei datori di lavoro, di per sé è un risultato importante. Vedremo se questo aspetto si realizzerà nei fatti; ci sono due anni di tempo per implementare questa direttiva”, conclude.